
La scuola iniziava il primo d'Ottobre e finiva all'arrivare dell'estate. Sempre con i pantaloncini corti. D'inverno, col freddo, con il gelo e la neve erano di lana, quella lana che sulla pelle pizzicava. Iniziavi a grattarti ancor prima di infilarti i pantaloncini che arrivavano alle ginocchia, aderenti come una calzamaglia. Un vero strumento di tortura al quale ti abituavi solo dopo aver percorso il chilometro che ti separava dalla scuola. Si andava a piedi, da soli. Senza le paure che oggi ci opprimono. Si andava a piedi. Non c'era traffico su quella che ora è una strada statale in cui i mezzi pesanti la fanno da padrone. Si camminava sul bordo, sul limite del fosso. Si faceva così perché ce lo avevano insegnato i nostri genitori e così, senza nessun moto di ribellione, si ubbidiva. Non era un ubbidire forzato ma la consapevolezza che era la cosa giusta da fare. Ci era stato detto, ce lo avevano consigliato e per noi era la cosa giusta da fare.
Allora c'era una consapevolezza che oggi non c'è più. C'era un solo paio di scarpe per tutto l'inverno e tu, che avevi 7 anni, ne avevi cura. Nere con la suola di cuoio. Un cuoio che assomigliava molto al cartone per come si inzuppavano d'acqua quando camminavi sulla neve ma, abbastanza robuste per giocarci a pallone, per fare le gare di corsa attorno alla scuola dove per premio c'era una caramella al rabarbaro. Le caramelle della signora Maestra.
Quell'anno era l'inverno del 1969. Per noi il 68 è stato l'anno delle stanghette, delle prime lettere scritte con il pennino bagnato nell'inchiostro nero. Un inchiostro che sporcava il quaderno con le sue macchie. Un nero che riempiva i fogli di carta assorbente.
Non ricordo altro di quell'inverno passato in casa ma ricordo bene quella mattina a scuola quando iniziai a stropicciarmi gli occhi perché non riuscivo a leggere la lavagna. La signora Maestra se ne accorse e mi chiamò alla cattedra con il quaderno. Una paura tremenda quando lessi che mio padre era stato chiamato per un colloquio con lei. Non sapevo cosa avessi fatto di così grave da far sì che mio padre fosse interpellato. Arrivai a casa e già mi aspettavo le sculacciate preventive ed ero terrorizzato dalla domanda “Ma cosa hai combinato questa volta!” anche perché non ne avevo la minima idea. Per fortuna le sculacciate non ci furono e di quella nota sul quaderno me ne dimenticai, fino al giorno in cui mia madre mi fece mettere il vestito buono e mi portarono a fare una visita da un dottore. Questo dottore mi fece leggere delle lettere su un tabellone luminoso e poi mi fece appoggiare il mento su uno strumento strano. Continuava a chiedermi di guardare la stellina e di non chiudere gli occhi. Poi quelle gocce tremende negli occhi che allora bruciavano da impazzire. Ancora lacrime inutili, dolore che non capivo. Un' ora ad aspettare e poi quel peso enorme che il dottore ti appoggiava sul naso in cui cambiava, dopo ogni sua domanda, le lenti.
“Occhio pigro” fu la diagnosi. La cura? Benda sull'occhio “buono” e occhiali. In classe fui spostato nel primo banco ed i miei compagni di scuola iniziarono a prendermi per i fondelli. Tutti i nomignoli che mi hanno rifilato non li ricordo ma quella cantilena che fa “cicciobombo cannoniere con tre buchi nel sedere.....” quella ancora me la ricordo. Le lotte ed i cazzotti. Gli occhiali rotti ed altre botte a casa.
Da allora, fino alla terza media non c'è una sola foto in cui io non abbia il mio occhio destro bendato e gli occhiali.
La mia condanna è non vedere i colori brillanti, la luce delle stelle è sempre un qualche cosa di sfuocato, il volto della luna l'ho solo visto nelle fotografie. Se perdo gli occhiali è una tragedia. Ci vuole sempre qualcuno che me li ritrovi. Il mare è una trappola. Amo nuotare ma mi devo togliere gli occhiali e così mi perdo tutti i colori, diventa tutto grigio, sfuocato.
Non posso nemmeno portare Sabrina a vedere i film in 3D e lei senza di me non ci vuole andare e poi dice che tanto non si perde nulla e sorridendo mi consola dicendo che i film del suo amato Ken Loach tanto non li faranno mai in tre dimensioni. E lo credo bene, sono dei mattoni! Mi correggo, gli ultimi due sono piaciuti molto anche a me, mi terrò informato anche io per non fargliene perdere nemmeno uno.



FRESCO DESSERT
COPPA BKP
Ingredienti:
5 banane mature
4 pesche nettarine
4 kiwi
250 gr di ricotta
250 ml di panna da montare
il succo di 1/2 limone

Frulliamo le banane aggiungendo il succo di mezzo limone. Aggiungiamo la ricotta e mescoliamo con cura. A parte montiamo la panna senza aggiungere zucchero e la andiamo ad incorporare alla crema di banane. Lasciamo riposare per circa due ore in frigorifero e andiamo a comporre la coppa.
E' un dessert fresco e leggero perchè non contiene zucchero aggiunto eppure l'abbiamo trovato golosissimo.

SUMMER DESSERT
BKP CUPS

Ingredients:
5 bananas (cut in small cubes)
4 peaches (cut in small piaces)
4 kiwi (cut in small pieces)
250 g ricotta cheese
250 ml heavy cream
1/2 lemon juice
no sugar
BKP CUPS

Ingredients:
5 bananas (cut in small cubes)
4 peaches (cut in small piaces)
4 kiwi (cut in small pieces)
250 g ricotta cheese
250 ml heavy cream
1/2 lemon juice
no sugar

First of all we have to process bananas and lemon juice in a blender. Add the ricotta cheese and mix well. Whip cream until almost stiff, beat until cream holds peaks. Delicately combine whipped cream with the banana mixture, mix gently and chill in the refrigerator for at least 2 hours before preparing the summer cups.


A WONDERFUL AWARD
The Darts Award is a form of recognizing a blogger who is "passionately dedicated to delivering cultural values, human and literary".
Questo premio ci è stato donato dal dolcissimo Brad e ci ha fatto particolarmente piacere riceverlo per quello che rappresenta! Grazie Brad!!!Noi ne vogliamo fare dono a Caty, a Anna The Nice, a Antonietta di Ma che bel Castello, a Lady Boheme, a Saretta e a una Zebra a Pois.