Scorrono uno dopo
l’altro i nomi dei paesi, insieme a chilometri di cielo e a macchie di verde
che sbiadiscono lungo i pendii. A corpi selvatici di piante che si arrampicano verticalmente.
A distese di terra secca, madre di sugosi fichidindia e di plotoni di ulivi.
Nel primo
pomeriggio abbiamo lasciato la coscia calabrese, tagliando con una diagonale
sghemba il sud geografico, fino a ritrovarci ora, a risalire la schiena della
Puglia. Da Taranto a Trani, dove ci fermeremo per una lunga e intensissima
notte. Ci aspettano amici, un tavolo a lume di candela con vista sul porto, un
letto grande, ma non troppo, ed un lettino formato Alice Ginevra da grande.





Attraversiamo il
paese, le botteghe, i marciapiedi, la gente e quanta gente, è tutto un
brulicare di visi, di piedi, di frammenti di discorsi colti di straforo. L’aria
è piena di voci che si abbassano e si sollevano come un’ondata fiammeggiante. E’
piena di odori. Il salmastro del mare che si infila fin dentro le narici.
Lo scenario è straordinariamente bello, lasciata la piazzetta ci dirigiamo verso il porto e i suoi numerosi locali pulsanti di vita. C’è un mare di gente che passeggia come noi, anche solo per respirare l’odore di una sera di settembre, tra le voci che smuovono il silenzio e lo strisciare ripetitivo dell’acqua contro la banchina. E’ una notte suggestiva, ritagliata così, nella luce calda dei lampioni, quando ogni cosa comincia ad apparire sfumata nei suoi contorni, quasi fosse calata una pellicola sospesa magicamente a mezz’aria. E’ una notte che crea intimità, che fa precipitare le voglie tra le mani.
Alice Ginevra si incanta a guardare quelle aureole di luce, quel filare di lampioni che sciabolano d’arancio il buio. Riflessi ambrati tremano sullo specchio di acqua scura, disseminato di barche e pescherecci addormentati, che il mare lecca amorevolmente; di reti da pesca ammassate sul molo l’una sull’altra, mentre farfalle notturne corteggiano con foga arcobaleni di luce. Sullo sfondo, case pitturate di bianco, una luna nuda ed appariscente, Alice Ginevra, Luca ed io, stretti stretti nelle nostre confidenze mentre cerchiamo, tra i tanti, il ristorantino che ci hanno consigliato.



Alice Ginevra,
bimba di azione, si stanca però presto di osservare ciò che le si muove
intorno, stando comodamente seduta sul trono del suo passeggino e fa
chiaramente capire, con fare risoluto, che vuole camminarci a fianco. Esaudito
il suo desiderio, dobbiamo di rimando affrontare una tournèe di mille mini
soste davanti a tutti i locali illuminati che incontriamo. Lei osserva, valuta,
commenta con il suo curioso vocabolario e poi riparte come un treno. Volano,
lei e la sua innocenza. Lei e la sua capacità di esprimere stupore di fronte
alle cose più semplici. Una luce, una candela accesa, una schiera di ragazzi
con i jeans bucati sul ginocchio e i palloncini che fanno con la gomma da
masticare. Cento metri più in là abbraccia con tanto e tale vigore un
cavalletto zoppo con annesso menu della casa, illuminato in multicolor come un
albero di Natale, che per poco non crolla tutto a terra, lei compresa.
Goffamente rimettiamo in piedi il cavalletto addobbato e alle nostre spalle
avvistiamo il locale che stavamo cercando. Tavolo all’aperto apparecchiato per
due, Alice Ginevra che si destreggia tra il suo seggiolone e le mie gambe e
nonostante abbia già cenato, decide di condividere parte del mio piatto.



“Ti va un po’ di insalata di mare?” le chiedo, sapendo già come risponderà. “Va, vaaa” fa lei convinta e armeggiando con la forchetta riesce a portarsi succulenti pezzi di polipo alla bocca. Comprendiamo il suo piacere perché è anche il nostro, per noi reso ancora più pieno da calici di un bianco celestiale. Cerchiamo, la portata successiva, di tenerla lontana dalla nostra rispettiva frittura di pesce, con ragionamenti logici, ma ben poco assimilabili a quattordici mesi, infatti lesta come un prestigiatore, riesce ad afferrare un anello di calamaro e tenendolo ben stretto tra le sue manine, se lo gode fino all’ultimo morso, con il piacere decuplicato dalla consapevolezza che quel bocconcino le era stato vietato. Due enormi fette di torta babà sono il dessert che senza indugio scegliamo e che mordiamo in tre, godendo della sensualità cascante della panna, del sapore dolce che ci rimane a lungo in bocca.


Lo scenario è straordinariamente bello, lasciata la piazzetta ci dirigiamo verso il porto e i suoi numerosi locali pulsanti di vita. C’è un mare di gente che passeggia come noi, anche solo per respirare l’odore di una sera di settembre, tra le voci che smuovono il silenzio e lo strisciare ripetitivo dell’acqua contro la banchina. E’ una notte suggestiva, ritagliata così, nella luce calda dei lampioni, quando ogni cosa comincia ad apparire sfumata nei suoi contorni, quasi fosse calata una pellicola sospesa magicamente a mezz’aria. E’ una notte che crea intimità, che fa precipitare le voglie tra le mani.
Alice Ginevra si incanta a guardare quelle aureole di luce, quel filare di lampioni che sciabolano d’arancio il buio. Riflessi ambrati tremano sullo specchio di acqua scura, disseminato di barche e pescherecci addormentati, che il mare lecca amorevolmente; di reti da pesca ammassate sul molo l’una sull’altra, mentre farfalle notturne corteggiano con foga arcobaleni di luce. Sullo sfondo, case pitturate di bianco, una luna nuda ed appariscente, Alice Ginevra, Luca ed io, stretti stretti nelle nostre confidenze mentre cerchiamo, tra i tanti, il ristorantino che ci hanno consigliato.







“Ti va un po’ di insalata di mare?” le chiedo, sapendo già come risponderà. “Va, vaaa” fa lei convinta e armeggiando con la forchetta riesce a portarsi succulenti pezzi di polipo alla bocca. Comprendiamo il suo piacere perché è anche il nostro, per noi reso ancora più pieno da calici di un bianco celestiale. Cerchiamo, la portata successiva, di tenerla lontana dalla nostra rispettiva frittura di pesce, con ragionamenti logici, ma ben poco assimilabili a quattordici mesi, infatti lesta come un prestigiatore, riesce ad afferrare un anello di calamaro e tenendolo ben stretto tra le sue manine, se lo gode fino all’ultimo morso, con il piacere decuplicato dalla consapevolezza che quel bocconcino le era stato vietato. Due enormi fette di torta babà sono il dessert che senza indugio scegliamo e che mordiamo in tre, godendo della sensualità cascante della panna, del sapore dolce che ci rimane a lungo in bocca.


Alice Ginevra sta
crollando dal sonno, il mondo scivola fuori dalla fessura dei suoi occhi semichiusi,
tra poco le rimboccheremo il lenzuolo e manderemo la sua notte a dormire. La
nostra invece, rimarrà ancora sveglia. Luca, io e questa notte in amore, incipriata di luna.
Luca, io e questa notte con i gomiti mollemente appoggiati sull’acqua.
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Con questa ricetta vogliamo contribuire ad arricchire l'Abbecedario Culinario che staziona in Emilia Romagna e terminerà qui, domenica, il suo lungo viaggio.
PASSATELLI CON TARTUFO SU FONDUTINA CAPRINA
Ingredienti:
Per i Passatelli:
150 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
150 gr di pangrattato
4 cucchiai di farina di semola
3 uova grandi
un pizzico di sale
noce moscata
una grattugiata di scorza di limone (non trattato)
Per il Condimento:
200 gr di caciotta di capra dell'Appennino Modenese
80 ml di latte
1 tartufo nero del peso di circa 30 gr (in parte grattugiato, in parte a scaglie) del territorio modenese
Per quanto riguarda i passatelli, sono solita prepararli senza pesare gli ingredienti, regolandomi ad occhio, comunque in questa occasione ci siamo muniti di bilancia.

Completiamo con la farina di semola che serve a fare sì che il composto rimanga bello compatto e che i passatelli non si rompano durante la cottura.
Uniamo le uova e mescoliamo il tutto, fino ad ottenere una palla bella compatta. La dividiamo in pagnottelle e la passiamo con l'apposito strumento a buchi larghi.
Per la preparazione della fonduta, tagliamo a cubetti piccoli il formaggio di capra. Mettiamo in un pentolino il latte ed il formaggio e a fuoco molto basso lasciamo fondere il formaggio, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Si otterrà una cremina densa, ma non troppo.
Prendiamo il nostro tartufo e dopo averlo spazzolato con cura, in modo da rimuovere le tracce di terra, ne grattugiamo una parte e la uniamo alla fonduta, fuori dal fuoco. Il resto lo affettiamo a scaglie con l'apposito affetta-tartufi e lo andremo poi a cospargere sui passatelli impiattati.
Cuociamo i nostri passatelli nel brodo per circa 3 minuti.
Li scoliamo e li andiamo ad adagiare nei piatti caldi sul cui fondo abbiamo adagiato la nostra fonduta.
Completiamo con una generosa spolverata di scaglie di tartufo.