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giovedì 15 novembre 2012

NOTTE IN AMORE, INCIPRIATA DI LUNA - TRANI - PASSATELLI CON TARTUFO SU FONDUTINA CAPRINA

Scorrono uno dopo l’altro i nomi dei paesi, insieme a chilometri di cielo e a macchie di verde che sbiadiscono lungo i pendii. A corpi selvatici di piante che si arrampicano verticalmente. A distese di terra secca, madre di sugosi fichidindia e di plotoni di ulivi. 
Nel primo pomeriggio abbiamo lasciato la coscia calabrese, tagliando con una diagonale sghemba il sud geografico, fino a ritrovarci ora, a risalire la schiena della Puglia. Da Taranto a Trani, dove ci fermeremo per una lunga e intensissima notte. Ci aspettano amici, un tavolo a lume di candela con vista sul porto, un letto grande, ma non troppo, ed un lettino formato Alice Ginevra da grande.
 
Infiliamo un dedalo di strade cittadine avvolte da un’ arcata di luce, pigramente sdraiata sotto agli ultimi raggi di sole della giornata; strade barricate da palazzi tutti uguali, ingentiliti da vasi di fiori sui balconi e ahimè, da uno sciame di zanzare assassine. Giro giro tondo per riuscire a trovare albergo  alla nostra quattro ruote, parcheggiamo e con un salto tutti giù per terra. Scarichiamo una valigia, anzi due, i padroni di casa ci vengono festosamente incontro, baci e abbracci che durano dal marciapiede fin dentro casa, inframezzati da “Che bello rivedervi qui”, “Ma quanto è cresciuta Alice Ginevra”, “Finalmente siete arrivati”. Siamo a dir poco frastornati. Alice Ginevra scola con sonora soddisfazione il suo biberon pieno di succo d’ananas, saltella e si lascia andare ad esibizioni ginniche su e giù, in lungo ed in largo, mentre mamma e papà si godono  un giro panoramico della casa, un caffè preparato con una mokona, che date le dimensioni, lascia presagire una tazzina bis, se non addirittura  tris. Caffè che per l’occasione chiama un dolcetto e a seguire un ammazza caffè, ma non per me, poi tante chiacchiere intorno al rettangolo del tavolo fino a che in un attimo si fa sera. Fino a che ci docciamo, ci cambiamo d’abito e usciamo per scoprire Trani by night.
 
Attraversiamo il paese, le botteghe, i marciapiedi, la gente e quanta gente, è tutto un brulicare di visi, di piedi, di frammenti di discorsi colti di straforo. L’aria è piena di voci che si abbassano e si sollevano come un’ondata fiammeggiante. E’ piena di odori. Il salmastro del mare che si infila fin dentro le narici.
Lo scenario è straordinariamente bello, lasciata la piazzetta ci dirigiamo verso il porto e i suoi numerosi locali pulsanti di vita. C’è un mare di gente che passeggia come noi, anche solo per respirare l’odore di una sera di settembre, tra le voci che smuovono il silenzio e lo strisciare ripetitivo dell’acqua contro la banchina. E’ una notte suggestiva, ritagliata così, nella luce calda dei lampioni, quando ogni cosa comincia ad apparire sfumata nei suoi contorni, quasi fosse calata una pellicola sospesa magicamente a mezz’aria. E’ una notte che crea intimità, che fa precipitare le voglie tra le mani. 
Alice Ginevra si incanta a guardare quelle aureole di luce, quel filare di  lampioni  che sciabolano d’arancio il buio. Riflessi ambrati tremano sullo specchio di acqua scura, disseminato di barche e pescherecci addormentati, che il mare lecca amorevolmente; di reti da pesca ammassate sul molo l’una sull’altra, mentre farfalle notturne corteggiano con foga arcobaleni di luce. Sullo sfondo, case pitturate di bianco, una luna nuda ed appariscente, Alice Ginevra, Luca ed io, stretti stretti nelle nostre confidenze mentre cerchiamo, tra i tanti, il ristorantino che ci hanno consigliato.
Alice Ginevra, bimba di azione, si stanca però presto di osservare ciò che le si muove intorno, stando comodamente seduta sul trono del suo passeggino e fa chiaramente capire, con fare risoluto, che vuole camminarci a fianco. Esaudito il suo desiderio, dobbiamo di rimando affrontare una tournèe di mille mini soste davanti a tutti i locali illuminati che incontriamo. Lei osserva, valuta, commenta con il suo curioso vocabolario e poi riparte come un treno. Volano, lei e la sua innocenza. Lei e la sua capacità di esprimere stupore di fronte alle cose più semplici. Una luce, una candela accesa, una schiera di ragazzi con i jeans bucati sul ginocchio e i palloncini che fanno con la gomma da masticare. Cento metri più in là abbraccia con tanto e tale vigore un cavalletto zoppo con annesso menu della casa, illuminato in multicolor come un albero di Natale, che per poco non crolla tutto a terra, lei compresa. Goffamente rimettiamo in piedi il cavalletto addobbato e alle nostre spalle avvistiamo il locale che stavamo cercando. Tavolo all’aperto apparecchiato per due, Alice Ginevra che si destreggia tra il suo seggiolone e le mie gambe e nonostante abbia già cenato, decide di condividere parte del mio piatto.
 
“Ti va un po’ di insalata di mare?” le chiedo, sapendo già come risponderà. “Va, vaaa”  fa lei convinta e armeggiando con la forchetta riesce a portarsi succulenti  pezzi di polipo alla bocca. Comprendiamo il suo piacere perché è anche il nostro, per noi reso ancora più pieno da calici di un bianco celestiale. Cerchiamo, la portata successiva,  di tenerla lontana dalla nostra rispettiva frittura di pesce, con ragionamenti logici, ma ben poco assimilabili a quattordici mesi, infatti lesta come un prestigiatore, riesce ad afferrare un anello di calamaro e tenendolo ben stretto tra le sue manine, se lo gode fino all’ultimo morso, con il piacere decuplicato dalla consapevolezza che quel bocconcino le era stato vietato. Due enormi fette di torta babà sono il dessert che senza indugio scegliamo e che mordiamo in tre, godendo della sensualità cascante della panna, del sapore dolce che ci rimane a lungo in bocca.
 
Alice Ginevra sta crollando dal sonno, il mondo scivola fuori dalla fessura dei suoi occhi semichiusi, tra poco le rimboccheremo il lenzuolo e manderemo la sua notte a dormire. La nostra invece, rimarrà ancora sveglia. Luca, io e  questa notte in amore, incipriata di luna. Luca, io e questa notte con i gomiti mollemente appoggiati sull’acqua.


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Con questa ricetta vogliamo contribuire ad arricchire l'Abbecedario Culinario che staziona in Emilia Romagna e terminerà qui, domenica, il suo lungo viaggio.
 

PASSATELLI CON TARTUFO SU FONDUTINA CAPRINA

Ingredienti:

Per i Passatelli:
150 gr di Parmigiano Reggiano grattugiato
150 gr di pangrattato
4 cucchiai di farina di semola
3 uova grandi
un pizzico di sale
noce moscata
una grattugiata di scorza di limone (non trattato)

Per il Condimento:
200 gr di caciotta di capra dell'Appennino Modenese
80 ml di latte
1 tartufo nero del peso di circa 30 gr (in parte grattugiato, in parte a scaglie) del territorio modenese

 

Per quanto riguarda i passatelli, sono solita prepararli senza pesare gli ingredienti, regolandomi ad occhio, comunque in questa occasione ci siamo muniti di bilancia.

In una ciotola capiente mescoliamo il pane grattugiato (consigliabile grattugiare del pane raffermo, piuttosto che comprare il pane già grattugiato) con il Parmigiano reggiano, aggiungiamo la noce moscata, la scorza del limone grattugiata e un pizzico di sale.
Completiamo con la farina di semola che serve a fare sì che il composto rimanga bello compatto e che i passatelli non si rompano durante la cottura.
Uniamo le uova e mescoliamo il tutto, fino ad ottenere una palla bella compatta. La dividiamo in pagnottelle e la passiamo con l'apposito strumento a buchi larghi.
Per la preparazione della fonduta, tagliamo a cubetti piccoli il formaggio di capra. Mettiamo in un pentolino il latte ed il formaggio e a fuoco molto basso lasciamo fondere il formaggio, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Si otterrà una cremina densa, ma non troppo.
Prendiamo il nostro tartufo e dopo averlo spazzolato con cura, in modo da rimuovere le tracce di terra, ne grattugiamo una parte e la uniamo alla fonduta, fuori dal fuoco. Il resto lo affettiamo a scaglie con l'apposito affetta-tartufi e lo andremo poi a cospargere sui passatelli impiattati.
Cuociamo i nostri passatelli nel brodo per circa 3 minuti.
Li scoliamo e li andiamo ad adagiare nei piatti caldi sul cui fondo abbiamo adagiato la nostra fonduta.
Completiamo con una generosa spolverata di scaglie di tartufo.

domenica 7 ottobre 2012

QUANTE VOLTE POTRA' CAPITARTI... - SOVRACOSCE DI POLLO CON POMPELMO ROSA E PEPERONE

Quante volte potrà capitare di uscire da un locale e scoprire che il tuo sesto senso ha avuto ragione?
Quante volte potrà capitarti che tra tutti i locali che ci sono, scegli quello della figlia di un “tuo” paziente, di una persona speciale che ti ha lasciato pennellate sincere nell'anima.
Quante volte potrà capitarti invece di leggere recensioni eccellenti di un locale e, mentre sei a metà degli antipasti te ne vorresti già andare, talmente è scarsa la qualità e la cottura dei cibi che ti propongono? E purtroppo alla fine salvi solo l'ottima bottiglia di Greco di Tufo.
Quante volte ti capita che dopo aver, seppur con il sorriso e con una battuta del tipo “Bisogna che sgridiate lo Chef perché oggi non era in forma...” si scusino e ti presentino il cuoco ed il suo aiuto, che per farsi perdonare, ti regala un chilo di anduja fatta da loro, quella sì che era speciale!
Quante volte, tenendoti la testa tra le mani, dici “non è nulla, se solo ci fosse un po' di ghiaccio...” e se non stai attento ti portano l'intero ghiacciaio del Montebianco?
Quante volte vorresti far sì che il tempo si fermasse e quel tramonto durasse in eterno?
Quante volte vorresti vedere il sorriso, la felicità di tua figlia dipinta sul volto mentre se ne corre libera sulla sabbia?
Quante volte sa solo di passato, anche se è vero che il tempo delle cose si allontana sempre di più.
La spiaggia di Zanbrone, lunga e bianca. Piccoli sassolini ad imitare la sabbia. Mare di tre colori intensi, trasparenti tanto che a momenti ti sembra di nuotare nel nulla, di volare leggero avvolto da onde delicate e dagli urli di gioia di una bimba felice.
Delusi da Pizzo, non tanto per l'intensità che ti regalano le mura scrostate, gli scorci di vita quotidiana, ma dal turistico tartufo che abbiamo mangiato nella piazzetta. Così tanto famoso, così tanto “industriale” nel sapore. Caffè, panna, nocciola di un unico sapore, il frigorifero. Un sapore piatto e anonimo. Per fortuna siamo sicuri che ci saranno locali dove il gusto del decantato tartufo artigianale prevale sulla pubblicità disegnata su misura per i turisti di tutto il mondo, sicuramente più avvezzi ai sapori che l'industria standardizza nel mondo del gelato.
Incantati dai panorami, con la complicità del sole e delle isole sullo sfondo arriviamo a Nicotera, spiaggia deserta ed ombrelloni chiusi, abbronzati dal tramonto e mescolati nel silenzio.
Domani sera si va a mangiar fuori, è la voglia che ci dobbiamo togliere. I profumi che escono dalle finestre aperte sul lungomare, quella sensazione di vuoto allo stomaco che mi rende il veder i locali vuoti, senza traccia di vita, in questi magnifici luoghi ormai traditi dal turismo, a favore del lavoro nelle fabbriche o negli uffici.
Quanto è triste dover abbandonare questi colori intensi per uno spento grigio.
La “fuga” dalla spiaggia è un rito, si raccolgono i giochi di Alice Ginevra, si piegano gli asciugamani, si chiude l'ombrellone, si raccoglie un po' di sabbia nel pacchetto vuoto di sigarette, con cura si cerca di non lasciar traccia del nostro passaggio, si risalgono i dieci metri di spiaggia che ci separano dall'auto, si carica il tutto, si accende la radio e si parte.
Con lo sguardo ci appropriamo di ancora un po' di blu, mentre sorridiamo nel vedere Alice Ginevra che fa ciao ciao con la manina al mare. Un sottofondo musicale della prima radio che capita e la Pupattola cade in un profondo sonno ristoratore ebbro delle fatiche della spiaggia.
Sullo sdraio in terrazza sfoglio il cellulare per scegliere il locale. Ci sono più di un centinaio di commenti, di cui solo tre o quattro fortemente negativi, ma tutti con risposta del responsabile del locale che trova motivazioni convincenti. Ma sì, non si può accontentare tutti!
Il locale è a poco più di un chilometro dall'appartamento e, viste le recensioni, si va.
Il locale è un “Albergo-villaggio-ristorante”, diviso in due. Un' ampia sala dedicata agli ospiti che mangiano al menù fisso ed una sala molto più piccola (molto molto più piccola) per gli avventori, diciamo così, di passaggio.
Antipasto di mare per due, una grigliata per Sabrina ed una frittura per me. Tre portate, in cui nemmeno la più infima pizzeria può rischiare l'errore, ma sono anche i piatti con cui testiamo la qualità.
Tempi d'attesa per la comanda piuttosto lunghi, tant'è che Alice Ginevra si stanca e vuol scendere dal seggiolone per circumnavigare lo spazio attorno. A turno io e Sabrina la rincorriamo fino a che non scopre l'angolino dedicato agli ospiti dell'Hotel dove questa sera c'è il Karaoke. Ancora non c'è la musica, ma ci sono le luci colorate che Alice Ginevra rincorre come se fosse un gattino.
Nel frattempo riusciamo a scegliere il vino. Un Greco di Tufo che si dimostrerà la scelta più azzeccata della serata.
Antipasti “poveri” nella quantità, ma soprattutto un pescespada effetto suola di scarpe, un polipo al dente, nel senso che era duro come gomma, una capasanta accompagnata da una salsa barbecue dal sapore industriale e fresca di frigorifero, cosa che gli dava un sapore inconfondibile e non in senso positivo. La frittura composta di anelli di totano enormi, totani che nei nostri mari non trovi, totani che sapevano di surgelato; due, due di numero, ciuffi e tre gamberetti tre. La grigliata di Sabrina puzzava di griglia mai pulita, di bruciaticcio. Puzzava. I dolci li abbiamo evitati, i contorni pure.
Per fortuna che il vino è riuscito a cancellare quanto di “triste” abbiamo mangiato tra una corsa e l'altra dietro ad Alice Ginevra. Lei che ama il pesce, questa volta non ha gradito nessuna portata.
Alice Ginevra ha fatto conquiste, ha fatto ingelosire due bimbe di poco più di un anno più grandi di lei. Si contendevano un bellissimo bimbo siciliano di tre anni. Ha conquistato il pubblico con i suoi balletti, abbracciata alla cassa del Karaoke con scrosci di applausi e noi, a ridere per la spontaneità di cui solo l'innocenza dell'infanzia è dotata.
Grazie Alice Ginevra della bella serata.
Nel frattempo vado a pagare il conto ma in quel momento alla cassa fanno un errore macroscopico. “Allora....tutto bene?” “Sì sì, però sgridate il cuoco perché questa sera non era assolutamente in forma!” Così, voleva essere solo una battuta, non volevo dire che avevo mangiato malissimo, avevamo inserito calorie in corpo, ma avevamo decisamente lasciato sotto al tavolo il piacere del cibo. Voleva essere solo una battuta.
Una delle ragazze si allontana e dopo pochi secondi arriva un ragazzo che poi scopro essere il responsabile del locale. Personalmente ho cercato di minimizzare la cosa, ma gli ho voluto ribadire che non eravamo stati contenti del cibo, ma strafelici di aver bevuto un ottimo vino di un'ottima cantina. Passa poco e arriva il cuoco con l'antipasto in un piattino. “Ecco vede, il polipo, andava cotto almeno una ventina di minuti in più, assaggi!” gli dico, mentre prendo un pezzettino di polipo e lo porgo al responsabile che storce la testa ma, insisto e praticamente lo imbocco a forza. La faccia che fa mi da una grandissima soddisfazione. Probabilmente non ha mai incontrato nessuno diretto e con la faccia tosta come la mia. Mi riempie di scuse, mi invita a ritornare. Il cuoco ed il suo aiuto che disquisiscono con me su come hanno realizzato i piatti, le cotture, la qualità del pescato, i costi del pesce fresco. “Te lo avevo detto che così grandi i totani non vanno bene...” dice sottovoce il cuoco al responsabile tra il dialetto e l'italiano. Io li guardo e sorrido. Faccio per andarmene e mi porgono una bustona. “Questa la facciamo noi, sentirà che bontà!” Il cuoco e il suo aiuto mi mettono sulla mano quello che è un chilo di anduja. La accetto molto volentieri, li ringrazio e li saluto, anche perché Sabrina è venuta a prendermi, a strapparmi via dal centro dell'attenzione per farmi vedere chi era la stella della serata.
Alice Ginevra che balla, canta e corre tra gli ospiti che divertiti la salutano mentre divincolandosi, cerchiamo di portarla alla macchina per tornare all'appartamento. Si è fatto decisamente troppo tardi......(Il nome del locale? No, non merita nessun tipo di pubblicità, nemmeno se negativa)

Le cipolle di Tropea sono fin troppo famose, così come lo sono le sue spiagge all'ombra del castello.
L'acqua è calda e la piccola spiaggia si è riempita in pochi minuti, dopo che ci siamo appropriati dei nostri due o tre metri quadri. Soffia un leggero venticello che a volte diventa più sgarbato. Alice Ginevra è decisamente a suo agio, intavola discorsi con chiunque passi nel raggio d'azione delle sue gambette, di qualsiasi bimbo in possesso di una palla. “A me! A me! A me!” ripete cercando di appropriarsi della sfera colorata di qualcuno. “A me! A me! A me!” cantilena cercando di prendere il giocattolo della bambina vicino. Una raffica di vento un po' più forte del solito. Un grido, TOC!!! Centrato in pieno.
Il dolore è lancinante. Mi tengo la testa stretta tra le mani, cercando di far pressione esattamente due dita sopra la tempia.
Gli occhi chiusi come per non vedere il mondo attorno, per non vedere chi probabilmente sta ridendo di un signore alto grosso e robusto a cui è arrivato un ombrellone in fronte. Dico io, ma con tutta la gente che c'è in spiaggia, proprio il sottoscritto doveva centrare?
Sento la pelle che si tende ed il sangue pulsare sotto la mano mentre cerco di far pressione. La pelle si tende ed il bozzo inizia a crescere come un fungo. Inizia a lievitare come una castagnola fritta nell'olio bollente. Un bozzo enorme!
Mi tolgono l'ombrellone di dosso e Sabrina è parecchio scossa, almeno per il suo tono di voce. Io mi preoccupo di come sta Alice Ginevra. Il bozzo non smette di crescere, ha ormai raggiunto le dimensioni di un'oliva ascolana. Lo tengo nascosto dalla mano, per non mostrare a nessuno il mio dolore. “Tutto a posto? Si è fatto male?” Il proprietario dell'ombrellone preoccupato è corso a soccorrermi. “Nulla di grave...” rispondo, cercando di fare un sorriso “solo che se ci fosse un po' di ghiaccio....” non finisco la frase che un signore si presenta con un frigorifero da campeggio pieno, stracolmo di ghiaccio “Prenda, ne prenda pure! Sa, ieri mia figlia è stata punta da un' ape ad una mano....” ci racconta, con dovizia di particolari, tutta la storia. Il dottore, l'ospedale, la pescheria dove si è fatto riempire il borsone di ghiaccio. “Ne prenda ancora se le serve!” Un' altra voce “Guardi qui c'è del ghiaccio, se lo tenga sulla fronte!” Una signora “Senta ha bisogno di ghiaccio, glielo vado subito a prendere!” Ormai sono più frastornato dalle offerte di ghiaccio per l'appunto, che dal dolore.
Sabrina tiene abbracciata a sé Alice Ginevra e, da brava professionista cerca di tranquillizzare Alice Ginevra che si è decisamente spaventata nel vedere quella montagna di suo padre colpito in fronte. Un bozzo e via! Nulla, non è successo nulla. Lo ripeto al proprietario dell'ombrellone ma soprattutto a me. Il ghiaccio fa il suo lavoro ed il bozzo inizia a sgonfiarsi e così, anche questa mattinata è andata.
Alice Ginevra distrutta e stanca da tutte queste emozioni si addormenta appena metto in moto l'auto.
A Tropea è festa così come solo al sud sanno fare. Luci, festoni illuminati, bancarelle, profumi zuccherosi per la festa della Madonna di Romania. Strade piene, tutti in festa.
Risaliamo la folla verso il belvedere dove un clown gioca con la folla, scherza con il pubblico. Alice Ginevra parte, indomita, verso di lui, bloccandogli praticamente lo spettacolo.
Lei sorride con i suoi grandi occhioni aperti, si guarda attorno ed inizia un brevissimo ballo al ritmo della musica che il clown usa come sottofondo. Si ferma e lei raccoglie gli applausi rubandoli all'attore di strada.
Che fatica trascinarla via da tutto quel pubblico. Sembra nata per lo spettacolo!
Nino e Marcella, l'ultimo ristorantino vicino al belvedere, in fondo alla strada con i suoi tavolini all'aperto ed un senso di benvenuto all'ingresso.
La scelta è stata facile. Ci piaceva quel senso di accoglienza che traspariva anche solo dalla perizia con cui i camerieri preparavano la tavola.
Gentilissimi ci indirizzano ad un tavolo dove possiamo mettere il passeggino di Alice Ginevra in modo che fosse per noi comodo. Subito si presentano con un seggiolone per la nostra Divina.
Menù senza troppi fronzoli con esattamente quello che ti aspetti da un ristorante al mare in una località turistica. Un antipasto di pescespada agli agrumi, un' impepata di cozze, tonno in agrodolce e una frittura, il tutto accompagnato da un superlativo Asylia bianco carico di profumi e pieno di sapori ed anche di gradi alcolici. In poche parole un sontuoso vino.
Il pesce spada tagliato a mano in fette dallo spessore variabile e sapientemente marinato in agrumi freschi ed erbe riccamente profumate. Una carne delicata e saporita ricca di sapore e aromi. Le cozze piene e carnose impepate in giusta dose con i sapori ben distinguibili.
Il tonno cotto alla perfezione con il suo cuore leggermente rosato, tenero come se fosse stato cotto al vapore. La salsa con le cipolle di tropea ed il miele ed una punta leggera di piccante che dava intensità alla salsa. La frittura di pesce fresco, impanato grezzo. Croccante e tenero. Saporito e profumato. Ma perché il vino quando è così buono finisce subito? Dalla lista dei dolci ci lasciamo felicemente consigliare. Alice Ginevra ha praticamente assaggiato di tutto e si è goduta la cena assieme a noi, anche perchè, senza nulla chiedere, ci hanno serviti in modo celere proprio per non far stancare la nostra Principessa.
Pagato il conto, ci teniamo a fare i complimenti a chi ha cucinato per noi e qui scopriamo i titolari e la bravissima ragazza rumena che ha cucinato tutto alla perfezione. Una ragazza timida ma che ai fornelli dà veramente del tu.
Così chiacchierando chiacchierando il discorso cade su Gioia Tauro e scopriamo che la titolare è di Gioia e che ha quattro fratelli e che suo padre ultranovantenne si è operato a Bologna. Sabrina rimane di stucco. Fa nome e cognome del genitore ultranovantenne, racconta dell'operazione e di quanto fosse forte quel signore, di che passione e amore per i suoi figli aveva.
Mezzora in piedi a raccontarsi aneddoti. Ancora pochi minuti e ci diventiamo parenti anche noi.
Quante volte potrà capitare di uscire da un locale e scoprire che il tuo sesto senso ha avuto ragione?
Quante volte potrà capitarti che tra tutti i locali che ci sono, scegli quello della figlia di un “tuo” paziente, di una persona speciale che ti ha lasciato pennellate sincere nell'anima.
Non so quante volte ti può capitare.
A noi è successo.


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SOVRACOSCE DI POLLO CON POMPELMO ROSA E PEPERONE




Ingredienti:

6 sovracosce di pollo
1 peperone verde (non troppo piccolo)
2 cipollotti freschi
2 spicchi d'aglio
2 pompelmi rosa
burro
brodo vegetale
olio extravergine d'oliva
sale e pepe

Questo è un piatto dal costo molto contenuto, ma capace di regalare soddisfazioni al palato.
Per prima cosa togliamo la pelle dalle sovracosce di pollo. Scaldiamo una padella sul cui fondo avremo sistemato una grossa noce di burro e 2 cucchiai di olio extravergine d'oliva, l'aglio con la buccia e i due cipollotti tagliati a rondelle. Andiamo ad unire le sovracosce.
Puliamo il peperone e lo tagliamo a pezzetti, dopodichè lo andiamo ad aggiungere nella nostra padella. Cuociamo per una ventina di minuti col coperchio chiuso.
Nel frattempo sbucciamo i pompelmi e li peliamo a vivo, privando cioè gli spicchi della pellicina. Giriamo la carne, regoliamo di sale e di pepe e aggiungiamo gli spicchi di pompelmo, a seguire un mestolo di brodo vegetale. Cuociamo per altri 20 minuti col coperchio e termiamo la cottura per altri 5-6 senza coperchio, rigirando la carne. Serviamo le nostre sovracosce di pollo con il loro squisitissimo sughetto. Il piatto è strepitoso, nella sua semplicità.







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